Visualizzazione post con etichetta amministratore di condominio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta amministratore di condominio. Mostra tutti i post

domenica 13 luglio 2025

Condomino moroso - l'amministratore responsabile se non comunica il nominativo al creditore

Nuovo intervento della Suprema Corte in materia di debiti condominiali, con il quale il giudice di legittimità ha ribadito l'obbligo dell'amministratore di comunicare al terzo creditore il nominativo dei singoli condomini morosi.

Abbiamo già avuto modo di trattare la questione (approfondisci qui), chiarendo i presupposti fondamentali per i quali il creditore deve reclamare il proprio credito prima verso il condomino moroso, e solo successivamente può agire verso coloro che sono in regola.

La sentenza in oggetto evidenzia, in primo luogo, l’obbligo di comunicazione ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., gravante sull'amministratore, il quale deve indicare i condomini morosi, i millesimi e i dati catastali, riaffermando un orientamento già consolidato in giurisprudenza (vedi qui). 

I giudici chiariscono che tale obbligo legale di cooperazione grava direttamente verso l’amministratore in proprio e non rientra tra le funzioni rappresentative svolte in nome del condominio.

Ne consegue che la violazione del suddetto obbligo configura una responsabilità extracontrattuale (aquiliana) e la legittimazione passiva spetta all’amministratore persona fisica, non al condominio.

Il provvedimento è interessante perché chiarisce l'iter che deve essere seguito dal terzo creditore verso il condominio, identificando le conseguenze nel caso di inadempimento dell'obbligo di comunicazione dei creditori morosi da parte dell'amministratore.

In tali circostanze, non è il condominio a rispondere dell'inadempimento dell'amministratore, ma quest'ultimo in prima persona sarà chiamato a pagare per la sua negligenza.

La sentenza tende a valorizzare i condomini in regola con i pagamenti, i quali non possono essere dal creditore finché non siano stati escussi i morosi.

Corte di Cassazione Sez. II^ sentenza n. 1002/2025

sabato 25 gennaio 2025

Condomino moroso. Non è vero che paga sempre chi è in regola!

Oggi torniamo a trattare le questioni condominiali, con il fine di chiarire alcuni punti relativi all'ipotesi di spese condominiali, inadempimento nel pagamento della quota da parte del singolo condomino e dovere di solidarietà del condominio verso il credito vantato dal terzo.

QUESITO: cosa succede per le spese condominiali (ad esempio, quelle previste per il riscaldamento), se taluno dei condomini non versa la propria quota di competenza?   
 

Il luogo comune che si è consolidato, in modo errato, è che vi sia un vincolo di solidarietà tra i condomini per debiti contratti verso soggetti terzi, sicché  coloro che hanno correttamente versato le spese condominiali, dovranno pagare anche per gli insolventi.

Nel blog abbiamo già trattato la questione, ma alla luce delle mail ricevute, riteniamo utile tornare sull'argomento anche al fine di chiarire alcuni incomprensioni.

A.- cosa dice la legge: art. 63 disp. att. Codice Civile

L'argomento oggetto di questo intervento trova la sua disciplina nell'art. 63 delle disposizioni attuative del Codice Civile, norma che regola vari punti relativi alle spese condominiali, alla competenza nel pagamento e alle conseguenze nel caso di "condomino moroso".

Per quel che ci interessa, richiamiamo i primi tre commi dell'art. 63:

"Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi.

I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini.

In caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.".

La legge prevede, in primo luogo, il dovere da parte dell'amministratore di attivarsi per ottenere un provvedimento ingiuntivo volto a riscuotere i crediti vantati dal condominio verso il singolo condomino "non pagante".

Il primo comma, però, ci dice anche un'altra cosa: nel caso di richiesta di pagamento al condominio da parte di un creditore e dovuta all'inadempimento delle spese condominiali da parte di uno o più codomini, l'amministratore deve fornire i nominativi dei condomini morosi.

Il motivo di questo obbligo posto a carico dell'amministratore lo troviamo nel comma successivo, laddove la legge stabilisce che se un esiste vincolo di solidarietà nel condominio per i debiti comuni, è altresì vero che lo stesso soggiace ad un limite di sussidiarietà.

In termini più semplici, il creditore che pretende il pagamento verso il condominio di un suo credito per l'omesso pagamento da parte di alcuni condomini, dovrà prima agire nei confronti dei morosi e poi, nel caso in cui il suo credito sia ancora non soddisfatto, potrà rivolgersi agli altri condomini.

E la differenza, sul punto, non è da poco!

La spiegazione ce la fornisce la Cassazione (Ordinanza n. 5043/2023):"in capo ai condòmini che abbiano regolarmente pagato la loro quota di contribuzione alle spese condominiali, ed in favore del terzo che sia rimasto creditore (per non avergli l’amministratore versato l’importo necessario a soddisfarne le pretese), un’obbligazione sussidiaria ed eventuale, favorita dal beneficium excussionis, avente ad oggetto non l’intera prestazione imputabile al condominio, quanto unicamente le somme dovute dai morosi" con la conseguenza che "[...] per le obbligazioni sorte dopo l’entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, il debito sussidiario di garanzia del condomino solvente, subordinato alla preventiva escussione del moroso e pur sempre limitato alla rispettiva quota di quest’ultimo, e non invece riferibile all’intero debito verso il terzo creditore".

B.- Conseguenze pratiche

Cosa succede se il condominio non è riuscito a versare la somma prevista per il riscaldamento, a causa di un condomino moroso, e il creditore viene a chiedere il pagamento delle somme previste rivolgendosi all'amministratore?

Abbiamo già trattato l'argomento, a cui rimandiamo per un approfondimento (clicca qui), ma ricordiamo sinteticamente che in questo caso l'amministratore non può esimersi dal agevolare il recupero del credito da parte del terzo, fornendo ogni dato del condomino inadempiente, in primo luogo nominativo, importo non versato e dati catastali.

Il creditore dovrà prima cercare di recuperare quanto dovuto dal condomino insolvente e, solo nel caso in cui riesca a dimostrare di non aver recuperato la somma dal debitore parziale, potrà agire verso i restanti condomini.

domenica 15 dicembre 2024

Nei rapporti di condominio, il creditore deve agire prima verso il condomino moroso

Nei rapporti di condominio sono diffusi diversi "falsi miti" con i quali si ritiene che la gestione delle vicende che riguardano i condomini siano regolate da prassi o da regolamentazioni giuridiche del tutto inventate.

Uno degli aspetti più discussi in ambito di assemblea condominiale riguarda, infatti, l'obbligo di pagamento in favore del creditore condominiale per le quote dei condomini morosi: chi paga nel caso in cui un condomino non versi la sua parte?

La risposta al quesito è tutt'altro che secondaria, in quanto è all'ordine del giorno che nei condomini vi sia qualcuno in ritardo con le quote previste nella ripartizione delle spese operata dall'amministratore.

Il creditore si rivolge al condominio pretendendo il suo credito: chi deve pagare per la richiesta del terzo creditore? il singolo condomino inadempiente o tutti i condomini, salvo poi pretendere il pagamento dal moroso? 

Il provvedimento del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ci consente di affrontare i quesiti sopra proposti e trovare, attraverso i principi espressi dal giudice campano, le risposte più corrette.

Il punto di partenza è l'art. 63 disposizioni attuative del codice civile, il quale prevede quanto segue:

"Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi.

I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini.

In caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.

Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente.

Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto.".

La norma appena richiamata è chiara nel prevedere alcune semplici regole:

  1. L'amministratore è legittimato a svolgere le azioni di emergenza per conto del condominio;
  2. Il creditore del condominio è legittimato ad ottenere dall'amministratore il nominativo del condomino moroso;
  3. Il creditore  del condominio deve prima agire verso il condomino moroso e poi rivolgersi al condominio per ottenere il suo credito;
  4. Se il debito del moroso si protrae per oltre sei mesi, l'amministratore può sospendere i servizi comuni nei suoi confronti, sempreché non danneggino gli altri condomini;
  5. Chi subentra nel rapporto di condominio è solidamente obbligato al pagamento delle spese condominiali relative alle ultime due annualità con il precedente condomino;
  6. Chi esce dal rapporto condominiale, perché ha venduto l'alloggio, è solidalmente responsabile con il condomino subentrante fino a quando non trasmette copia autentica del titolo di trasferimento del diritto;
Le regole appena richiamate aiutano a comprendere anche come devono essere gestiti i rapporti condominiali tra amministratore, condomini e coloro che vantano un diritto verso uno dei proprietari di alloggi del condominio, dando già risposta ai quesiti posti in precedenza.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha avuto modo di affrontare e risolvere una delle questioni che usualmente riguardano il condominio, ossia l'ipotesi in cui un terzo arrivi a bussare alla porta dell'amministratore, chiedendo di ottenere il pagamento di somme non versate a causa di alcuni condomini/creditori morosi.

Nel caso di specie, la società aveva contestato all'amministratore condominiale di non aver comunicato il nome dei condomini morosi, al fine di poter agire nei confronti di questi ultimi per poter recuperare il proprio credito.

Il condominio aveva contestato la pretesa del creditore, affermando di aver indicato il nominativo dei condomini morosi e l'importo da essi dovuto, mentre nessun altra informazione era, a detta dell'amministratore, dovuta.

Orbene, il giudice ricostruisce in modo mirabile e condivisibile la disciplina prevista in questa materia, delineando diritti ed obblighi spettanti alle parti, nonché il dovere dell'amministratore a dover comunicare al creditore i dati del condomino moroso, onde consentirgli di poter soddisfare il proprio credito.

Sul punto, il giudice chiarisce che: "[...]  l’obbligo posto dalla legge a carico dell’amministratore trova il suo fondamento giustificativo nel rapporto di mandato che lo lega al condominio: sicché per il caso in cui l’amministratore non ottemperi ai suoi doveri e il condominio medesimo, in persona dell’amministratore, venga condannato, rimane salva l’azione di responsabilità dovuta all’eventuale inerzia.".

Ma quali informazioni deve fornire l'amministratore al terzo creditore? contrariamente a quanto si crede, il diritto alla privacy e riservatezza cede il passo al diritto del creditore a vedere soddisfatto il proprio legittimo diritto, sicché l'amministratore deve fornire al terzo i seguenti dati:

- nominativo del condomino moroso;
- importo non versato;
- dati catastali dell'immobile come iscritti nell'anagrafe condominiale;
- quote millesimali.

Tali dati, infatti, non possono essere negati: "In relazione alla ratio della disciplina, l’obbligo è soddisfatto con la comunicazione delle generalità complete dei condomini, dei dati catastali degli immobili come iscritti nell’anagrafe condominiale delle quote millesimali e dell’importo dovuto da ciascuno secondo la ripartizione svolta in virtù della relativa tabella. Altri dati non sono previsti, sicché la domanda proposta va oltre il dato normativo e la consistenza dell’obbligo di cui si è detto.".

Di conseguenza, il terzo dovrà rivolgersi al debitore e chiedere a quest'ultimo di provvedere al pagamento della somma dovuta a causa del suo inadempimento.

Qui di seguito, la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

domenica 10 novembre 2024

Mediazione civile & condominio - sufficiente la maggioranza dei presenti per la delibera positiva

Può l'amministratore di un condominio prendere posizione in una mediazione civile (ad esempio, raggiungendo il consenso con la controparte) senza aver ottenuto un parere favorevole preventivo da parte dell'assemblea dei condomini?

Il Tribunale di Roma, trovatosi davanti a questo quesito, ha ritenuto di rispondere in senso positivo, argomentando però, che lo stesso amministratore dovrà, in tali casi, in seguito illustrare la situazione avanti ai condomini, durante l'assemblea, ed ottenere il loro consenso.

Ma quale voto assembleare serve per ottenere l'approvazione ex post dei condomini? il giudice romano ritiene che in questi casi, il voto sufficiente per l'approvazione del verbale di mediazione è quello previsto a mente dell'art. 1136 c.c. comma 2: "Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.".

Questi sono i requisiti minimi affinché il voto assembleare ratifichi la condotta tenuta dall'amministratore.

Di seguito, la sentenza n. 7405/2024 del Tribunale di Roma (visibile con browser Opera vpn attivo)

domenica 15 settembre 2024

Il condominio può essere condannato a riparare il danno causato al singolo condomino

La recente sentenza della Corte di Appello di Genova ha ribadito il principio per il quale se il condominio danneggia la proprietà privata del singolo può (e deve) essere condannato al risarcimento del danno.

La sentenza che trovate di seguito, peraltro caratterizzata anche da alcune questioni squisitamente processuali che non sono oggetto di trattazione nel presente contributo, ha ad oggetto dei lavori condominiali deliberati dall'assemblea condominiali ed eseguiti negli anni.

Le opere avevano causato dei danni alla proprietà privata di uno dei condomini, ed in particolare delle infiltrazioni con conseguenti danni ai suoi locali. 

Il condomino ha proposto la domanda di risarcimento in forma specifica, chiedendo ed ottenendo dalla Corte di Appello la condanna del condominio ad adottare tutti gli accorgimenti tecnici e l'esecuzione delle opere necessarie volte ad eliminare i danni causati dai lavori eseguiti dal condominio e consentire il ripristino della situazione antecedente (status quo ante).

La Corte di Appello ha voluto riconoscere, quindi, l'obbligo di fare specifico in capo al condominio, costretto a riparare la proprietà privata, applicando l'antico adagio "chi rompe, paga".

Corte di Appello di Genova - Sez. II^ Civ. - sentenza n. 601/2024.

domenica 14 aprile 2024

Condominio: anche il condomino danneggiato chiamato a partecipare alle spese del bene comune

Il condomino danneggiato dalla cosa comune (condominiale) deve comunque partecipare alla spesa per la riparazione del bene condominiale.

Il principio è stato affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale il condomino che subisca gli effetti negativi (danni) dall'omessa manutenzione della parte comune del condominio, è comunque onerato a partecipare, pro quota, alle  spese necessarie per la riparazione delle parti comuni, come stabilito con l'Ordinanza 36149/2023.

I Giudici di legittimità hanno deciso di non accogliere la richiesta del condomino danneggiato di essere escluso dalle spese comune di ripristino del bene comune, confermando la Corte d’appello di Roma, secondo la quale il condomino danneggiato assume, in questi casi, duplice posizione, antagonista al condominio per quel che riguarda il risarcimento del danno derivante da cosa comune; ma di medesima posizione rispetto agli altri condomini per quel che riguarda la riparazione, pro quota, della cosa comune.

Corte di Cassazione - Sez. II^ Civ. - Ordinanza n. 36419/2023

domenica 10 marzo 2024

Condominio: deve essere riconosciuta l'agevolazione nel parcheggio al condomino disabile

Non è valida la delibera condominiale che nega il diritto al condomino disabile di poter ottenere un parcheggio condominiale, in quanto in contrasto con i principi fondamentali di tutela della persona.

La decisione è stata assunta dal Tribunale di Verbania con il provvedimento che trovate di seguito ed emesso a seguito della domanda di nullità della delibera assembleare proposta da un condomino.

Nel caso di specie, il condomino disabile aveva richiesto il riconoscimento di un parcheggio condominiale agevolato, in forza del suo stato fisico, e quindi idoneo per il suo accesso al parcheggio, in quanto vicino all'ingresso condominiale.

L'assemblea riteneva di non accogliere l'istanza del condomino, concludendo per la conferma della disposizione originaria dei parcheggi, come da delibera.

Il condomino si rivolgeva al Tribunale di Verbania chiedendo che venisse dichiarata la nullità della delibera perché in contrasto con i principi costituzionali previsti a tutela delle persone portatrici di handicap.

Il giudice piemontese ha deciso di accogliere la domanda avanzata dal condomino, partendo dal presupposto che anche le norme in materia condominiale devono contemperare i principi costituzionali previsti a tutela del disabile.

Ne consegue che anche l'art. 1102 c.c., norma che disciplina l'uso delle cose comuni nel condominio, deve trovare interpretazione ed applicazione con gli artt.  32, 2, 3 e 42 c. 2 Cost. norma a tutela delle persone portatrici di handicap, e che nel vicenda di cui trattasi non sono state considerate in ambito assembleare.

Ne consegue, come chiarito dal Tribunale di Verbania che il condomino portatore di handicap, con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta - di poter parcheggiare in zona più favorevole, proprio per agevolare il suo accesso ed uscita dalla zona interessata.

Tale diritto prevale su quello degli altri condomini di avere un posto macchina più agevole e stabilito dal regolamento condominiale, in quanto non risultano gravati dei medesimi disagi fisici: "Ne consegue che, nel caso di specie, il diritto invocato dall’attore -portatore di handicap, con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta- di poter parcheggiare il più vicino possibile all’ingresso condominiale e cioè in uno dei sette stalli ricavati nel cortile, deve considerarsi preminente rispetto all’interesse degli altri condomini, per i quali non sono state dedotte analoghe difficoltà; essi infatti possono comunque godere di altri sei stalli, oltre che del parcheggio pubblico limitrofo e dei box di proprietà esclusiva (con la possibilità, peraltro, per alcuni, di parcheggiare dinanzi ai propri box in base a quanto previsto nella delibera del 16/10/2015 al punto n. 4). In quest’ottica, il mancato accoglimento in sede assembleare della richiesta di F deve ritenersi illegittimo, in violazione dell’art. 1102 Cc nella sua lettura costituzionalmente orientata, con conseguente dichiarazione di nullità del punto n. 3 dell’impugnata delibera.".

Tribunale di Verbania - sentenza n. 513/2020

domenica 3 marzo 2024

Umidità di risalità. Il condominio può essere condannato al risarcimento del danno in favore del condomino

Il condominio può dover risarcire il danno sofferto dal condomino a causa dell'umidità di risalita originata dall'incuria delle parti comuni.

Il principio, tutt'altro che scontato, è stato affermato dalla Corte di Appello di Messina (sentenza n. 731/2023), chiamata a decidere l'impugnazione proposta avverso la sentenza del Tribunale di primo grado in una causa tra condomino e condominio.

Occorre premettere che sul punto, la giurisprudenza non è univoca nel riconoscere la responsabilità del condominio per l'umidità da risalita, proprio perché non sempre è facile accertare se l'origine della fonte del danno è la parte comune o meno.

Nel caso affrontato dalla Corte di Appello di Messina, il condominio è stato condannato a risarcire i danni sofferti dal condomino, ma in particolare ad eseguire tutti i lavori necessari per evitare il danno da umidità di risalita.


- umidità di risalita e danno sofferto dal condomino

In primo luogo, in cosa consiste l'umidità di risalita? questo tipo di danno si manifesta quando l'acqua proveniente dalla parte più bassa dell'edificio tende a salire, non incontrando alcuna adeguata impermeabilizzazione della struttura volta ad ostacolare il flusso.

Il fenomeno più normale consiste nell'umidità che si sviluppa a causa di un accumulo di acqua che non viene arginata/limitata dai muri, provocando i danni alle murature dei piani superiori (usualmente il piano terra o il primo piano) nella parte più bassa.

E' di tutta evidenza che questo tipo di problematica sorge con più frequenza nel caso di cattiva manutenzione ordinaria di alcune parti dell'edificio, con conseguente danno arrecato ai vicini o, nel caso di condominio, ad alcuni condomini. 

Nel caso di specie, la lagnanza che ha dato origine alla causa intentata da una condomina si è fondata sul danno sofferto dal suo alloggio e causato dalle infiltrazioni di umidità provenienti dai locali cantina.

A seguito di controllo operato con un tecnico di fiducia è emerso, infatti, che l'umidità era originata dalla cattiva manutenzione delle parti comuni dell'edificio condominiale, in particolare uno stato di carenza nella pavimentazione, dal quale derivava la risalita dell'umidità.

Il Tribunale di Messina, all'esito del procedimento oggetto della nostra segnalazione, ha riconosciuto il danno sofferto dalla condomina per l'umidità di risalita, ed ha altresì condannato il condominio a realizzare tutti i lavori necessari idonei a limitare il fenomeno appena descritto.


- Corte di Appello di Messina: il condominio deve risarcire il danno e sostenere tutte le spese per eseguire i lavori 

Vi invitiamo alla lettura della sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Messina, la quale affronta una serie di questioni tecniche non secondarie e che in questa sede non tratteremo.

Il ragionamento seguito dal Giudice di secondo grado è quello di considerare la zona oggetto di infiltrazioni come parte comune del condominio, in quanto l'intercapedine esistente tra il piano di posa delle fondazioni, costituente il suolo dell'edificio, e la superficie del piano terra ove si trova l'appartamento danneggiato, laddove non sia disciplinato diversamente dal titolo di acquisto della proprietà (circostanza non secondaria), deve essere considerato parte comune.

In termini più semplici, se la parte che origina le infiltrazioni appartiene appartiene al condominio, il dovere di manutenzione adeguata e limitazione dell'infiltrazioni spetta a quest'ultimo.

Di conseguenza, laddove il condominio non abbia adeguatamente mantenuto la parte di sua competenza, deve sia rispondere per i danni sofferti dal condomino (1), sia attivarsi e sostenere tutte le spese necessarie per il ripristino della zona interessata al fine di evitare successivi danni (2).

Corte di Appello di Messina - sentenza n. 731/2023.

domenica 12 novembre 2023

Nulla la delibera condominiale quando la convocazione dell'assemblea avviene con semplice mail

La sentenza oggetto del nostro intervento odierno chiarisce quando sia valida la convocazione di una assemblea e quali obblighi l'amministratore sia tenuto ad osserva ai fini della validità della delibera condominiale.

La questione, tutt'altro che rara, ha ad oggetto la convocazione del condomino attraverso la semplice mail (no PEC) e la validità della successiva delibera adottata in assenza del singolo proprietario.

La vicenda prende le mosse da una delibera assembleare impugnata da due condomini, interessati a porre nel nulla le decisioni assunte nell'assemblea convocata con semplice e-mail.

Per comprendere se una semplice comunicazione elettronica sia idonea a soddisfare il requisito di validità della convocazione all'assemblea condominiale occorre, come correttamente fatto dal Tribunale di Roma, delineare la distinzione tra regolamento assembleare e contrattuale.

Il regolamento assembleare è regolato all'art. 1138 c.c. e viene votato a maggioranza nell'assemblea condominiale, e disciplina l'insieme delle questioni che riguardano la gestione delle parti comuni dell'edificio. 

Il limite che caratterizza il regolamento assembleare è che "non può incidere sui diritti dei singoli condomini, sulle parti comuni o sulle parti di proprietà esclusiva".

Il regolamento contrattuale è, invece, quello predisposto dal costruttore, come atto costitutivo del condominio, e che viene riportato (ed accettato) in tutti gli atti di vendita ai nuovi proprietari, oppure quello votato all'unanimità dai condomini.

Quest'ultimo è più vincolante per gli aderenti al condominio, anche se non può precludere i singoli diritti spettanti ad ogni condomino.

Tra questi rientra anche il diritto ad essere informato tempestivamente sulla data dell'assemblea, e sul contenuto della discussione: tale comunicazione deve avvenire con raccomandata, posta elettronica certificata o consegnata a mano.

La semplice posta elettronica può supplire a questo obbligo informativo? il Tribunale di Roma interviene chiarendo le ragioni per le quali la comunicazione non può avvenire via mail: "Al riguardo, l'art. 72 disp. att. c.c. prevede l'inderogabilità, da parte del regolamento di condominio, dell'art. 66 disp. att. c.c., il quale, al terzo comma, indica in via tassativa la modalità dell'avviso di convocazione (posta raccomandata, PEC, fax, o consegna a mano), non ricomprendendo tra le stesse la convocazione via e-mail.

Nel caso di specie, la delibera di convocazione delle future assemblee tramite e-mail ordinaria (punto 2 o.d.g.) risulta non solo essere contraria a norma dichiarata espressamente inderogabile (ossia l'art. 66 disp. att. c.c.) ma anche allo stesso regolamento di condominio (la cui natura contrattuale è stata riconosciuta dallo stesso convenuto), il quale, per le ragioni sopra esposte, non potrebbe essere modificato dai condomini, neppure in via convenzionale, con il risultato di derogare a tale norma di legge.".

Insomma, una delibera assembleare non può prevedere la comunicazione via mail, e nemmeno il regolamento assembleare, mentre la possibilità potrebbe essere contemplata nel caso di regolamento contrattuale, o almeno così lascia intendere il Tribunale di Roma con il provvedimento che trovate qui di seguito.

Tribunale di Roma Sez. V^ Civ. - sentenza n. 14299/2023

domenica 23 luglio 2023

Superbonus: nulla la delibera di nomina del geometra, ma priva di costituzione di un fondo speciale

Il provvedimento del Tribunale di Bergamo oggetto del nostro contributo odierno riguarda la materia condominiale, ed in particolare la validità dell'assemblea ove viene votato l'avvio dei lavori di ristrutturazione straordinaria rientranti nel "superbonus 110%", con incarico ad un professionista per le indagini preliminari e la ricerca del general contractor.

A seguito dell'impugnazione della delibera da parte di un condomino, il Tribunale di Bergamo ne ha dichiarato la nullità per violazione degli artt. 1135 - 1137 c.c., non avendo l'assemblea previsto un fondo speciale, ove accantonare le spese previste per l'avvio delle opere di ristrutturazione.


- artt. 1135 - 1137 c.c.

Il codice civile prevede, quale regola generale, che le decisioni all'interno del condominio di edifici vengono assunte dall'assemblea, con decisioni che possono essere annullate su impugnazione da parte del singolo condomino entro trenta giorni dall'assemblea (art. 1137 c.c.).

La delibera assembleare è nulla in ipotesi residuali, ma ben definite, ossia quando difetta degli elementi costitutivi essenziali; ha un oggetto impossibile o illecito; viola norme imperative (o di ordine pubblico o buon costume).

L'art. 1135 c.c., comma1 numero 4 prevede che nel caso in cui l'assemblea deliberi delle spese di manutenzione straordinarie è tenuta a costituire "obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all'ammontare dei lavori".

Questa norma introduce un obbligo a carico dell'assemblea, la quale deve prevedere il fondo per i lavori straordinari, ma quale valore ha tale dovere e se non viene rispettato?


- Tribunale di Bergamo: se manca la creazione di un fondo speciale (art. 1135 c.c. c. 1 n. 4), la delibera è nulla

Il Tribunale di Bergamo è stato chiamato ad esprimersi su questo punto, e richiamando la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia, ha osservato che la "Ratio della norma di cui all'art. 1135 co. 1 n. 4 c.c. è quella di garantire sia il terzo creditore, sia i condomini virtuosi. Infatti, la costituzione di una provvista scongiura il rischio che i condomini virtuosi debbano sostenere la spesa anche per quelli morosi. Si tratta, dunque, di una norma imperativa". 

Ed è del tutto irrilevante, chiarisce il giudice, che il professionista si era limitato a fare delle indagini e che nessun opera straordinaria era stata ancora deliberata ed approvata, in quanto il valore dell'assemblea era comunque programmatico e vincolante verso il professionista. 

Aggiunge il Tribunale di Bergamo: "S'aggiunge soltanto che la nullità qui è ancora più evidente, dato che l'assemblea ha deliberato, oltre allo "sbrigo delle indagini preliminari", anche "la stesura della diagnosi di fattibilità", sempre a titolo oneroso".

Ne consegue che è nulla la delibera ove viene votato l'avvio del progetto di superbonus per violazione dell'art. 1135 c.c. comma 1 n. 4, per non aver previsto alcun fondo specifico per le spese poste a carico dei condomini.

Tribunale di Bergamo - Sez. IV^ Civ. - sentenza n. 1348/2023

domenica 22 gennaio 2023

Si al diritto di accesso alla documentazione condominiale da parte del singolo condomino

Il singolo condomino ha diritto di prendere visione di tutti i documenti aventi ad oggetto il condominio, con mera richiesta formulata all'amministratore.

Quest'ultimo è tenuto a rendere disponibile la documentazione, anche attraverso i nuovi sistemi informatici, al fine di ottemperare all'obbligo previsto dalla legge.

Questo insieme di principi sono stati ribaditi dalla Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 5443/2021, con la quale ha richiamato le norme del Codice civile, così come aggiornate con la legge di riforma del condominio n. 220/2012.

Occorre premettere che tra amministratore e condomini si crea un rapporto di mandato, disciplinato dagli artt. 1703 c.c. e seguenti, ed in particolare l'art. 1713 c.c. prevede che il mandatario (l'amministratore) è obbligato a rendere conto della propria attività al madante (condomino).

In materia condominiale, a seguito della citata riforma del 2012, è prevista una specifica norma, l'art. 1130 bis c.c., comma II^, la quale dispone che: "I condomini e i titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo e estrarne copia a proprie spese. Le scritture e i documenti giustificativi devono essere conservati per dieci anni dalla data della relativa registrazione.".

La norma in parola introduce un vero e proprio diritto per il singolo condomino, il quale può presentarsi dall'amministratore e chiedere copia della documentazione, e quest'ultimo deve comunicare una data ed un luogo ove rendere disponibile i documenti.

Invero, già l'art. 1129 c.c. introduce l'obbligo generale oggetto del presente intervento, tant'è che a parere di chi scrive, tale dovere può essere adempiuto da parte del professionista attraverso le nuove tecnologie, così da attualizzare e velocizzare la consegna dei documenti ai singoli condomini.

Il provvedimento che vi segnaliamo delinea i limiti dell'amministratore, il quale non può sottrarsi a questa legittima richiesta, ed anzi deve favorirla in particolare prima dell'assemblea condominiale, consentendo ai singoli partecipanti di poter essere adeguatamente informati al fine di poter esprimere un consenso consapevole ai singoli punti oggetto di trattazione durante la riunione.

L'omesso adempimento di tale obbligo potrebbe giustificare un eventuale annullamento dell'assemblea condominiale.

Qui di seguito potete leggere l'Ordinanza n. 5443/2021 della Corte di Cassazione.

domenica 15 gennaio 2023

Condominio: grava sull'amministratore la prova di aver anticipato le somme per conto dei condomini.

Può capitare, ipotesi tutt'altro che rara, che l'amministratore di un condominio debba anticipare delle somme per conto dei condomini, al fine di garantire l'ordinario funzionamento del bene comune.

L'amministratore procede, in seguito, a richiedere ed ottenere il pagamento delle somme anticipate da parte dei condomini, attraverso il voto espresso durante l'assemblea dalla maggioranza.

E opportuno evidenziare, inoltre, che detto diritto può essere esercitato in modo diretto ed immediato nel caso di cessazione del rapporto, e l'istanza di rimborso può essere avanzata verso ciascun condomino a cui il professionista può rivolgersi per chiedere la restituzione degli importi anticipati nell’esecuzione dell’incarico.

Al rapporto tra amministratore e condomini si applicano le regole previste dal contratto di mandato ex artt. 1703 c.c. e seguenti, ed in particolare l'art. 1720 c.c., norma che prevede l'obbligo da parte del mandante di rimborsare al mandatario, l'amministratore, tutte le somme da quest'ultimo anticipate per suo conto.

E' altresì vero, come puntualizzato dalla pronuncia in commento, che è onere dell'amministratore quello di provare di aver sostenuto dette spese e della strumentalità delle operazioni effettuate rispetto agli interessi del condominio.

E' una prova del credito che deve essere precisa e non può essere superata con la semplice produzione delle delibere assembleari, ma deve risultare idonea a giustificare la richiesta di pagamento.

La Cassazione chiarisce, infatti, che: Il credito dell'amministratore per il recupero delle somme anticipate nell'interesse del condominio si fonda sul contratto tipico di amministrazione che intercorre con i condòmini, al quale, per quanto non disciplinato nell'art. 1129 cod. civ., si applicano le disposizioni di cui alla sezione I, capo IX, titolo III, libro V, del codice civile”.

Ne consegue che “l'amministratore che, alla stregua dell'art. 1720 cod. civ., deve offrire la prova degli esborsi effettuati, mentre i condòmini (e quindi il condominio) – che sono tenuti, quali mandanti, a rimborsargli le anticipazioni da lui effettuate, con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte, ed a pagargli il compenso oltre al risarcimento dell'eventuale danno – devono dimostrare di avere adempiuto all'obbligo di tenere indenne l'amministratore di ogni diminuzione patrimoniale in proposito subita”.

In assenza di tale prova, il rimborso delle somme non può essere riconosciuto all'amministratore per il contratto di mandato creatosi con il condominio.

Cassazione Sez. VI^ Civ. - Ordinanza n. 34242/2022.

lunedì 14 novembre 2022

Servizio maggior tutela: a gennaio 2023 rischio chiusura per il condominio. In arrivo l'aumento dei costi?

Il servizio di maggior tutela previsto per gli utenti privati e per le microimprese sta terminando, ed il rischio è che a partire dal prossimo 10 gennaio 2023, il singolo condominio sia "abbandonato" al mercato libero, con aumento del costo per la fornitura di energia elettrica.

Da più parti, ed in particolare dalle associazioni dei consumatori, si è alzata la richiesta di posticipare il cambio delle norme, mantenendo la situazione attuale ed evitando ad utenti privati, condomini e piccole imprese di dover fronteggiare il mercato.


            1. Servizio di maggior tutela

Il servizio di maggior tutela prevede un prezzo per determinato e controllato da parte dell'autorità di settore, ARERA, ed è stato introdotto con la Delibera 157/2007: "un servizio […] di vendita […] (di seguito servizio di maggior tutela)" è istituito per i clienti domestici e le piccole imprese", proprio con il fine di tutelare gli utenti più piccoli.

L'introduzione di un particolare sistema di calcolo del costo di energia elettrica e gas rientrava tra le regole introdotte con le liberalizzazioni adottate durante quegli anni (decreto Bersani).

Il servizio si distingue dal quello previsto per il mercato libero sia sotto il profilo del calcolo dei costi di addebito per il servizio offerto, sia dal punto di vista delle singole voci incluse in bolletta.

Questo servizio, come anticipato in precedenza, dovrà essere abbandonato nei prossimi mesi, con un approccio differenziato tra condomini (micro imprese) e utenti privati. 

domenica 23 ottobre 2022

Condominio: ecco come deve essere ripartito il costo dell'acqua tra i condomini

Uno dei temi più trattati nelle assemblee condominiali è quello della ripartizione dei costi comuni, ed in particolare le spese collegate ai consumi di energia elettrica, riscaldamento ed acqua.

Una peculiare questione è stata sollevata dal Tribunale di Milano, con la sentenza n. 1280/2018 che potete leggere di seguito, ove il giudice ha affrontato la ripartizione delle spese di consumo di acqua all'interno del condominio.

La vicenda è particolarmente interessante perché tocca alcuni aspetti dell'art. 1123 c.c. (ripartizione delle spese), la possibilità di derogare alla suddivisione del costo prevista ex lege e l'obbligo di installazione dei contatori di sottrazione.


- Spese comuni - criterio di ripartizione (art. 1123 codice civile) 

L'art. 1123 c.c. stabilisce la regola generale in materia di spese comuni: "Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.".

La regola generale è, quindi, che nel caso di spese comuni, ogni condomino partecipa in misura proporzionale ai valori millesimali di proprietà e può essere derogata per volontà  delle parti, inserendo nel regolamento condominiale il diverso criterio di ripartizione (egualitario) del costo, così come osservato dal Tribunale di Milano.

domenica 21 agosto 2022

Lite condominiale: il condomino dissenziente paga?

La pronuncia oggi in commento, la n. 12803 pubblicata dal Tribunale di Roma il 18 giugno 2019, ci consente di determinare gli oneri che il condomino, preso singolarmente, deve sostenere qualora il proprio condominio intenti, sia per avallo dell’assemblea che per autonoma iniziativa dell’amministrazione, delle controversie legali

La questione prende le mosse dall’impugnazione della delibera assembleare, nella quale i condomini ricorrenti hanno eccepito di non ritenersi responsabili delle conseguenze di una lite intrapresa dal condominio, e quindi delle relative spese di lite

In particolare, i condomini, affermando di aver appreso dell’esistenza di questa controversia nel corso di un’assemblea condominiale, hanno notificato all’amministratore un atto di dissenso (articolo 1132 codice civile), nel quale dichiaravano di voler essere separati dalla responsabilità per gli effetti della eventuale soccombenza

Occorre, a questo, punto, specificare se la norma appena citata, che pure è centrale in argomento, può essere richiamata puntualmente dal condominio, oppure se risponde a logiche più articolate. 

Proprio dalla lettura dell’articolo 1132 Codice Civile, rubricato “dissenso dei condomini rispetto alle liti”, emerge che i condomini, in sede assembleare, possono deliberare di promuovere una lite oppure di resistere ad una lite: di primo acchito, sembrerebbe che la notizia di tutti i fatti litigiosi del condominio confluisca nell’assemblea. 

Tale deduzione, tuttavia, sarebbe del tutto ingenua, poiché non si  può non tener conto della sfera di attribuzioni originarie che la legge riconduce all’amministratore di condominio. 

A tale riguardo, l’articolo 1130 Codice Civile - nell’esplicitare un elenco per lo più attiene agli atti di conservazione delle parti comuni o alla gestione fiscale e contabile improrogabile -  demanda all’amministratore l’espletamento dei doveri di legge. 

L’articolo 1131 Codice Civile, poi, chiarisce che per espletare tali attribuzioni, l’amministratore dispone della rappresentanza dei condomini e può agire o resistere in giudizio contro terzi o condomini (o, qualora questi venga a mancare per qualsiasi causa, il curatore speciale; vedi articoli 65 disp. att. e 30 c.p.c.).  

In definitiva, tre sono le fonti della rappresentanza in giudizio da parte dell’amministratore condominiale: 

- Anzitutto vi è la legge, in base al principio facilmente desumibile dall’articolo 1130 e ss. per il quale l’amministratore, nell’alveo delle sue improrogabili attribuzioni, deve espletare correttamente i propri doveri, intentando le azioni giudiziarie ritenute opportune. Va ricordato, però, che l’amministratore è tenuto ad attestare le liti in corso, quantomeno, al condomino che ne faccia esplicita richiesta (articolo 1130, n. 9), codice civile);

-    quindi, vi è il regolamento condominiale, atto formato o rivisto dai condomini intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio ed allegato al registro dei verbali assembleari (articolo 1138, comma 3°, codice civile),  che contiene norme sull’uso delle cose comuni, sulla ripartizione delle spese da parte dei condomini, nonché le norme di tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministratore. Il regolamento condominiale può essere fonte del conferimento di maggiori poteri all’amministratore di condominio, e quindi della rappresentanza ad hoc. 

- Infine, vi è la delibera assemblea. Di solito, l’assemblea condominiale è informata dall’amministratore di tutte le liti condominiali il cui contenuto esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, tutte quelle, cioè, che non sono previste dalla legge ovvero dal regolamento condominiale. 

Chiarite le fonti della rappresentanza in giudizio, e soprattutto chiarito che la notizia delle controversie intraprese dal condominio non confluisce automaticamente nelle assemblee condominiali, è opportuno chiarire quali sono i margini di manovra del condomino che intenda esprimere il proprio dissenso. 

Se le controversie:

A.- sono state intentate dall’amministratore nell’esercizio delle attribuzioni originarie (articolo 1130 codice civile), il condomino potrà ricorrere all’assemblea condominiale contro i singoli provvedimenti dell’amministratore (articolo 1133 codice civile) oppure adire il giudice ordinario contro il successivo deliberato dell’assemblea stessa (articolo 1137 codice civile). In ogni caso, sarà tenuto corresponsabile, insieme agli altri condomini, delle spese litigiose, senza separazioni di sorta. 

B.- Se le controversie scaturiscono dal conferimento della rappresentanza contenuto nella delibera assembleare, che si ha per tutte le materie che esorbitano dalle attribuzioni originarie dell’amministratore, allora il condomino ha il margine adeguato per esprimere il proprio dissenso, purché notifichi all’amministratore un atto di dissenso, entro e non oltre trenta giorni dopo aver appreso della deliberazione assembleare. 

Tale atto indica la separazione dalla responsabilità in ordine alle conseguenze di lite in caso di soccombenza del condominio. In conseguenza di questa notifica, il condomino potrà essere chiamato a rispondere degli effetti della lite in questi termini: 

    b.1.- del mero anticipo delle spese di soccombenza, con diritto di rivalsa verso il condominio; 

        b.2.- delle spese di giudizio che il condominio, dopo aver vinto la causa, non può ripetere dal soccombente (ad esempio, le spese di lite compensate dal giudice; vedi art. 92 c.p.c.).

In questi casi, viene consentito al condomino dissenziente di poter esprimere il dissidio ex art. 1132 c.c. e non partecipare alle spese legali sostenute dal condominio per il giudizio al quale si è opposto.

Tribunale di Roma - sentenza n. 12803/2019.

domenica 3 luglio 2022

Le spese condominiali possono essere vessatorie? ecco cosa ne pensa la Cassazione

Possono le spese condominiali divenire una clausola abusiva in un contratto di vendita? il quesito è stato sottoposto alla Corte di Cassazione, la quale ha dato una sorprendente risposta.

Dobbiamo premettere che il caso oggetto del provvedimento che commentiamo quest'oggi è estremamente particolare, in quanto stiamo parlando di vendita di un alloggio da parte del costruttore, unico proprietario e colui che ha predisposto il regolamento condominiale.

Nel regolamento condominiali, all'art. 11, veniva introdotta l'esenzione del costruttore alla contribuzione nel pagamento delle spese comuni per gli alloggi di sua proprietà rimasti ancora invenduti. Va da sé, che i condomini dovevano versare le somme relative alle spese condominiali, esonerando il costruttore.

Successivamente alla vendita di uno degli alloggi, l'acquirente impugnava la compravendita, eccependo la violazione delle norme del Codice del Consumo in materia di clausole abusive, con riferimento al limite del regolamento condominiale, di cui all'art. 11. 

La Corte di Cassazione ha ritenuto che il contratto di compravendita non contenga alcuna clausola abusiva e contraria agli artt. 33 e seguente del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.

Il Giudice di legittimità ha evidenziato, dapprima, che il contratto non prevedeva alcuna norma contrattuale abusiva, in quanto la diversa ripartizione delle spese condominiali era prevista dal regolamento condominiale, esulando dall'accordo transattivo intervenuto tra acquirente e venditore.

Non incide sulla validità del contratto, in termini più semplici, l'eventuale esonero del costruttore dal pagamento delle spese condominiali per gli alloggi ancora di sua proprietà all'interno del condominio, essendo tale limite estraneo all'atto di acquisto e agli obblighi traslativi nascenti dalla compravendita immobiliare.

Sotto altro versante, la Cassazione ricorda che la diversa suddivisione delle spese condominiali può essere, a mente degli artt. 1118 e 1123 c.c., derogata dai condomini, i quali possono decidere di esonerare taluno dal pagamento delle spese comuni, così come avvenuto nel caso di specie.

Il principio enucleato dalla Cassazione è il seguente: "La clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell'edificio e richiamato nel contratto di vendita della unità  immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può considerarsi vessatoria, ai sensi dell'art. 33, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, ove sia fatta valere dal consumatore o rilevata d'ufficio dal giudice nell'ambito di un giudizio di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo e sempre che determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e dunque se incida sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall'alienante, o sull'obbligo di pagamento del prezzo gravante sull'acquirente, restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo appartamento l'obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano".

Corte Cassazione - Sez. VI^ Civ. - Ordinanza n. 20007/2022.

domenica 27 marzo 2022

Consumo involontario del riscaldamento - partecipa anche il condomino che si sia distaccato dall'impianto condominiale

E' noto che alle assemblee condominiali il tema della ripartizione dei costi di riscaldamento è sempre "caldo" ed attuale e riguarda, in particolare, coloro che hanno deciso di distaccarsi dall'impianto comune.

Abbiamo  già trattato l'argomento (vedi qui), ricordando che il singolo condomino può decidere di non usufruire del riscaldamento comune, se tale sua scelta sia approvata dall'assemblea condominiale e non vi siano delle conseguenze negative nei confronti degli altri condomini.

L'art. 1118, comma 4 del Codice Civile è chiaro: "Il condomino può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma.".

La norma in parola prevede, quindi, una partecipazione del condomino alle spese per la manutenzione dell'impianto da parte del condomino rinunciante, il quale però potrà attivare un riscaldamento autonomo.

Il problema posto all'attenzione del Tribunale di Savona riguarda, però, i c.d. consumi involontari, ossia quelle causati dalla dispersione di calore dell'impianto di riscaldamento centralizzato e che si propagano nelle diverse abitazioni dei condomini.

Tali consumi sono sostenuti dai condomini non in ragione del loro specifico consumo, ma come conseguenza del malfunzionamento dell'impianto.

Il condomino che non partecipa alle spese per i consumi del riscaldamento centralizzato è comunque chiamato al pagamento dei consumi involontari?

Il Tribunale di Savona ha dato risposta affermativa, peraltro intervenendo in una complessa vicenda che aveva ad oggetto delibere assembleari impugnate e con le quali era stata data autorizzazione al distacco del condomino.

Il giudice, richiamando l'insegnamento della Cassazione, ha avuto modo di evidenziare che il singolo condomino che decida di non scaldare la propria unità abitativa con l'impianto centralizzato debba comunque partecipare ai costi derivanti dai consumi involontari, in quanto beneficia, seppur in modo involontario, agli effetti della dispersione del calore.

Tribunale di Savona - sentenza n. 115/2022.

domenica 28 novembre 2021

Infiltrazione da condominio? il condomino danneggiato partecipa alle spese di riparazione

Il danno subito dal condominio per infiltrazioni di acqua provenienti dal condominio non lo esentano alla partecipazione alle spese deliberate dall'assemblea proprio in favore del suo alloggio.

La Cassazione ha voluto ribadire il principio di prevalenza del bene comune (condominio) rispetto a quello del singolo proprietario, con conseguente ripartizione delle spese di manutenzione delle parti comune secondo il criterio pro quota che deve coinvolgere anche il condomino danneggiato.

Per quanto riguarda la manutenzione di lastrico solare e della terrazza a livello la ripartizione delle spese dipende dal titolo di proprietà: quando l'uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini quelli che ne hanno l'uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico; i restanti due terzi sono a carico degli altri condomini, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.

Pur se terrazza o lastrico solare appartengono o sono attribuiti in uso esclusivo ad uno o più condomini, pertanto, all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione vi sono tenuti tutti, in concorso con il proprietario o con il titolare del diritto di uso esclusivo.

Nel caso di specie, una tubatura danneggiata del condominio aveva causato dei danni in un appartamento di uno dei condomini, circostanza contestata all'amministratore chiamato a provvedere alla riparazione della parte comune. 

Il condomino si era rivolto al tribunale per chiedere la condanna del condominio alla  riparazione della zona interessata, con risarcimento del danno.

Il giudice di merito riconosceva il diritto alla riparazione della parte comune, stabilendo però che anche il condomino danneggiato avrebbe dovuto partecipare pro quota parte al pagamento per le opere di ripristino della zona interessata.

La vicenda è finita avanti alla Suprema Corte di Cassazione e gli ermellini hanno ribadito il principio secondo il quale il singolo condomino che ha subito dei danni derivanti dal bene comune (condominio) non può sottrarsi alla partecipazione alle spese da sostenere per la riparazione.

L'ordinanza n. 18187/2021 che potete leggere di seguito prende le mosse dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico solare di proprietà comune e che aveva costretto il condomino a convenire in giudizio il condominio per i danni subiti e per chiedere la riparazione del punto che aveva originato il pregiudizio lamentato. 

La Cassazione ha precisato che “il condomino che subisca, nella propria unità immobiliare, un danno derivante dall'omessa manutenzione delle parti comuni di un edificio, ai sensi degli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c., assume, quale danneggiato, la posizione di terzo avente diritto al risarcimento nei confronti del condominio, senza tuttavia essere esonerato dall'obbligo - che trova la sua fonte nella comproprietà o nella utilità di quelle e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile - di contribuire, a propria volta e pro quota, alle spese necessarie per la riparazione delle parti comuni, nonché alla rifusione dei danni cagionati”.

La responsabilità del condominio deve, infatti, coinvolgere anche il singolo condomino danneggiato, a cui deve essere addebitata la porzione di costi necessari per il pagamento delle spese necessarie alla riparazione del bene comune.

Qui di seguito l'Ordinanza n. 18187/2021.

domenica 31 ottobre 2021

Condominio: il rendiconto consuntivo è prova del credito verso il condomino moroso

Ogni anno, durante le assemblee, emerge che alcuno dei condomini non ha versato le spese comuni, risultando inadempiente verso il condominio.

Il rendiconto del condominio, documento che “[…] contiene le voci di entrata e di uscita di ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve […]” ed assume ruolo decisivo nella qualificazione e quantificazione del credito vantato dal condominio.

Il rendiconto consuntivo, infatti, attesta il carattere di certezza, esigibilità e liquidità del credito, presupposto per la pretesa avanzata verso il moroso, in quanto da tale documento sorge il diritto del condominio ad ottenere il pagamento delle spese condominiali.

La Cassazione è intervenuta sul punto, con l’ordinanza n. 27849/2021 ed ha chiarito che nel rendiconto il credito del condominio deve essere riportato in modo chiaro e trasparente, rappresentando la prova del proprio diritto al pagamento da parte di un condomino in un giudizio davanti al tribunale.

Nel caso di specie, alcuni condomini morosi si erano rivolti alla Corte di Cassazione, lamentando, tra l’altro, che il condominio non avesse provato il proprio credito nel giudizio avviato nei propri confronti.

Il Giudice di legittimità ha respinto il ricorso, ribadendo il principio che se l’ingiunzione di pagamento ottenuta dal tribunale si basa sulla delibera di approvazione del consuntivo votata dall’assemblea condominiale, tale documento rappresenta piena prova del credito preteso dall’organo comune, salvo una precisa e concreta contestazione delle somme indicate, a mezzo di impugnazione nei modi e termini di cui all’art. 1137 c.c..

In termini più semplici, quando il condominio vota e approva la delibera con la quale viene determinata la spesa dovuta da ogni singolo condomino, tale documento è titolo di credito sufficiente per provare il credito ed ottenere la condanna al pagamento da parte del moroso, come specificato dalla Cassazione: “[…] nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l'onere probatorio su di esso gravante con la produzione del verbale dell'assemblea condominiale con cui siano state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. 7569/1994)”.

L’approvazione del rendiconto consuntivo da parte dell’assemblea condominiale assume rilevanza anche sotto il profilo della decorrenza del termine di prescrizione del credito condominiale, in quanto è noto l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la quale ritiene che alle spese condominiali debba trovare applicazione l’art. 2948 c.c. n. 4, in quanto aventi cadenza periodica.

La norma in parola prevede che la prescrizione sia di cinque anni dalla data del voto della delibera di approvazione del rendiconto consuntivo e del relativo stato di riparto: tale termine può essere interrotto esclusivamente con la notificazione del decreto ingiuntivo.

E’ utile ricordare che, a seguito della riforma della materia introdotta nel 2012, è dovere dell’amministratore di attivarsi per il recupero delle spese nei confronti dei morosi entro “sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell'art. 63, primo comma, disp. att. cc”, e che per l’esecuzione di tale obbligo non necessiti di alcun specifico mandato impartito dall’assemblea. 

Per tale ragione, il rendiconto consuntivo deve essere preciso e dettagliato, rappresentando prova decisiva del credito vantato dal condominio, così come specificato dalla Cassazione con il provvedimento che potete leggere di seguito.

Cass. Civ. VI^ - Ordinanza n. 27849/2021.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...