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domenica 5 luglio 2020

Investimento finanziario: la banca deve fornire tutte le informazioni, altrimenti risponde del danno subito dal risparmiatore

Il provvedimento che vi segnaliamo di seguito riguarda uno dei tanti investimenti in titoli Parmalat terminato nel peggiore dei modi, ossia con la perdita del capitale da parte dei risparmiatori.

Anche nella vicenda oggetto di giudizio, la vendita dei titoli era avvenuta presso la filiale del più importante gruppo bancario italiano (l'allora Banca Intesa, oggi Intesa Sanpaolo S.p.a.), la quale aveva intermediato l'acquisto di obbligazioni della società olandese Parmalat Finance BV per conto di alcuni investitori fiorentini.

Il Tribunale di Firenze accoglieva le domande formulate dai consumatori, accertando il loro diritto al risarcimento del danno sofferto a causa della condotta inadempiente della banca, la quale non aveva in particolare informato i clienti dei rischi connessi all'acquisto di titoli obbligazioni Parmalat.

La Corte d'Appello di Firenze ribaltava la sentenza di primo grado, ritenendo che seppur Banca Intesa Sanpaolo non avesse correttamente comunicato le informazioni agli investitori, questi ultimi avrebbero comunque operato l'investimento in corporate bond, prodotto già acquistato in precedenza e quindi ben conosciuto. 

La vicenda termina avanti alla Corte di Cassazione, chiamata a valutare il ricorso proposto dai risparmiatori, ed in particolare se l'omesso adempimento degli obblighi informativi da parte della banca comporti una sua responsabilità nei confronti del contraente debole (l'investitore).

Come già evidenziato in precedenza, la Corte territoriale aveva escluso la rilevanza causale dell'inadempimento dei doveri di informazione da parte della banca, partendo dal presupposto che i clienti vantavano esperienza e propensione al rischio, così come emerso dalle scelte di investimento antecedenti all'acquisto delle obbligazioni Parmalat.

La Cassazione censura tale ragionamento, contrario ai principi giurisprudenziali consolidati, secondo i quali tra operatore professionale ed investitore esiste un naturale handicap informativo che deve essere colmato dall'intermediario.

Sul punto, il Giudice di legittimità è chiaro laddove evidenzia che è palese: "[…] lo squilibrio, di carattere prevalentemente conoscitivo - informativo, nella posizione delle parti, fondato sull'elevato grado di competenza tecnica richiesta a chi opera nell'ambito degli investimenti finanziari, che è oggetto dell'intervento correttivo del legislatore, attuato anche attraverso la previsione di un rigido sistema di obblighi informativi a carico dell'intermediario".

L'obbligo informativo da parte della banca nei confronti dell'investitore esiste e non può mai essere derogato, e la sua omissione è causalmente legata al danno sofferto dal consumatore, a meno che l'istituto di credito non dimostri di aver agito con cautela, trasparenza e correttezza o che il danno non sia conseguenza del proprio inadempimento.

Appare anche interessante richiamare la Cassazione laddove chiarisce quale sia il contenuto del citato obbligo informativo, ovvero: "[…] l'assolvimento di tale obbligo implica la formulazione, da parte dell'intermediario medesimo, di indicazioni idonee a descrivere la natura, la quantità e la qualità dei prodotti finanziari ed a rappresentarne lo specifico coefficiente di rischio".

La banca deve fornire informazioni puntuali, attuali, specifiche, complete e trasparenti, al fine di consentire all'investitore di potersi orientare tra le offerte del mercato finanziario.

Nel caso in cui tali informazioni non rispettano i "paletti" appena richiamati, non potrà essere negata la condanna della banca al risarcimento del danno subito dal cliente (nei limiti ed in considerazione del principio della compensatio lucri cum damno).

Trovate, qui di seguito, il testo completo della sentenza n. 7905/2020 pronunciata dalla Corte di Cassazione (Sez. I^ Civ.).

domenica 6 maggio 2018

Il contratto quadro e la tecnica del rinvio: quando è legittimo farlo?

> Premessa: la pronuncia della Suprema Corte oggi in commento ci offre l'occasione di trattare un aspetto che il consumatore non dovrebbe sottovalutare quando si affaccia al mondo dell'investimento finanziario, ed in particolare quando sta concludendo il contratto di acquisto con la banca. 

La nostra attenzione cade viene focalizzata, in particolare, sulla formazione/consenso espresso dall'investitore con il c.d. contratto quadro (v. qui), che altro non è che l'impalcatura del rapporto investitore/banca.

Poiché vengono regolati rapporti intrinsecamente complessi, è buona precauzione, prima di tutto, individuare quali sono i documenti e gli atti che compongono la bozza contrattuale oggetto di negoziazione.  

Spesso il prestampato che l'intermediario sottopone al consumatore rinvia ad altri documenti oppure a regole generali sui servizi bancari riportate online. Occorre dunque riconoscere quando il rinvio è valido ed efficace, sfatando il mito per il quale il contratto finanziario, per il solo fatto di essere predisposto dalla banca oltreché complesso, giustifica il parziale disinteresse da parte del consumatore.  

> i modelli di contrattazione: vediamo, in prima battuta, la distinzione tra due distinti e modalità di negoziazione, utili a dare contesto alla pronuncia. 

A. il contratto per adesione: nelle "contrattazioni di massa", il professionista, spesso in via unilaterale, sottopone un modulo od un formulario completo e palese in tutte le sue parti, richiedendo al consumatore la sola adesione. In questo caso, il deficit di conoscenza del consumatore verso le clausole vessatorie viene recuperato sia tramite la previsione della doppia firma (art. 1341 e 1342 cod. civ.) che tramite l'onere della specifica trattativa individuale (art. 34 cod. cons.). 

B. il contratto "a relazione perfetta": si ha quando sia il professionista che il consumatore sono d'accordo nell'emendare la bozza del contratto (a questo punto, incompleta) e a prevedere un richiamo chiaro e preciso a condizioni generali di contratto o documenti dislocati altrove. In questa ipotesi, non opera né la previsione della doppia firma né l'onere di specifica trattativa, poiché sono già le parti a negoziare (e concordare) circa il rinvio ad altri documenti ed atti.  

> il caso: poste tali premesse, il fatto diviene di facile comprensione: nel 2008 un privato, dedito alla speculazione finanziaria, ha sottoscritto un contratto di intermediazione finanziaria che disciplinava, tra l'altro, gli ordini di acquisto di azioni Parmalat. 

A suo dire, tale contratto sarebbe vessatorio ed invalido, poiché non prevede esplicitamente che gli ordini di acquisto possono essere effettuati tramite "il servizio Banca Diretta telefonica, televisiva, via internet o tramite altro strumento" (testualmente). 

Dal canto dell'intermediario è emerso che "il contratto quadro aveva un allegato che il cliente aveva dichiarato di conoscere, che consentiva anche ordini telematici e telefonici, e che non costituiva una clausola vessatoria nulla in mancanza della doppia sottoscrizione". 

> la motivazione della Suprema Corte: a detta degli Ermellini, il contratto quadro è valido per i seguenti motivi. 

Anzitutto, viene ricostruito il contesto in cui è avvenuta la negoziazione della bozza di contratto ed emerge che le parti, sedute insieme alla scrivania, hanno definito e concordato tutte le clausole, senza tralasciare alcun rimando o disciplina di contorno.  

Di conseguenza, la Corte ha affermato che "in materia di condizioni generali di contratto, essendosi affermato che, qualora le parti contraenti richiamino, ai fini dell'integrazione del rapporto negoziale, uno schema contrattuale predisposto da una di loro in altra sede, non è configurabile un'ipotesi di contratto concluso mediante moduli o formulari, assumendo la disciplina richiamata (nella specie, una clausola compromissoria, peraltro integralmente riprodotta dai contraenti) per il tramite di "relatio perfecta" il valore di clausola concordata; sicché tale disciplina resta sottratta all'esigenza dell'approvazione specifica per iscritto di cui all'art. 1341 c.c."

Ancora, il requisito di forma del contratto risulta soddisfatto, poiché "in materie diverse, ha da tempo ritenuto che l'onere di forma può ritenersi adempiuto allorquando le parti richiamino per iscritto elementi contenuti in un diverso atto, espressamente e specificamente richiamato nel contratto". 

Peraltro, non tutte le clausole di rinvio sono anche clausole vessatorie: nel caso emerge che le parti hanno concordato un rinvio soltanto sulle modalità operative per l'acquisto di azioni. In tal senso, la Corte ha precisato che "né può ritenersi che la clausola sottoscritta dalla A., recante la dichiarazione di avere ricevuto le norme contrattuali regolative del rapporto debba essere considerata una clausola vessatoria, trattandosi (...) di una mera dichiarazione di scienza, e non certo di una clausola che comporti "uno squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto".

> conclusione: almeno in questo contesto, il consumatore informato è chiamato a dispiegare ordinaria diligenza nella negoziazione del contratto, senza confidare nel fatto che clausole richiamate in altri documenti od atti siano, in qualche modo, "espunti" dal contratto e invalidabili nelle more del rapporto. 

Questo, ovviamente, non esclude che l'intermediario finanziario sia onerato del classico dovere di diligenza, di correttezza e trasparenza, di informazione, di evidenziazione dell'inadeguatezza dell'operazione finanziaria che si va a compiere (la c.d. suitability rule). 

Tale distinto profilo rileva, tuttavia, ai fini risarcitori, e non anche in quelli sulla validità del contratto. 

Di seguito, puoi leggere il testo integrale della pronuncia. 

domenica 31 agosto 2014

Titoli Parmalat - senza contratto, l'investimento è nullo

Torniamo ad affrontare un argomento caldo di questo blog, ossia il rapporto tra intermediario finanziario ed investitore, con particolare riferimento alla vicenda bond Parmalat.

Il Tribunale di Torino, con una recente sentenza, ha ribadito il principio secondo il quale la banca può operare in favore del cliente/risparmiatore, solo in presenza di un contratto quadro sottoscritto da quest'ultimo, con il quale viene conferito mandato all'intermediario di poter acquistare/vendere valori mobiliari.

L'art. 23 del Testo Unico della Finanza dispone che la banca può agire per conto del cliente, acquistando titoli mobiliari, solo nel caso in cui vi sia uno specifico consenso impartito dall'investitore, ossia la firma del contratto dove vengono indicate le modalità di operatività dell'intermediario, i limiti, le comunicazioni periodiche etc.

In assenza di valido contratto quadro, la banca non può agire in favore del cliente, così come ribadito dal Tribunale di Torino, il quale è stato chiamato ad accertare la regolarità degli investimenti in titoli Parmalat operati da una correntista del capoluogo piemontese.

Il giudice, dopo aver accertato che tra le parti non era stato formalizzato in alcun modo il rapporto bancario e che la banca non aveva ricevuto alcun mandato ad operare nel mercato finanziario per conto del correntista, ha dichiarato la nullità degli investimenti in titoli Parmalat, ordinando alla banca di restituire alla risparmiatrice i soldi investiti nei corporate bond agli inizi del 2000.

Di seguito, potete leggere la sentenza

venerdì 11 ottobre 2013

Offerta fuori sede di prodotti finanziari: il decreto del fare limita il diritto di recesso

Il recente provvedimento legislativo adottato dal Governo (decreto del fare) ha di fatto limitato la novità introdotta in materia di intermediazione finanziaria dalla sentenza n. 13905/2013, con la quale la Corte di Cassazione ha rivoluzionato le norme in materia di offerta fuori sede di prodotti finanziari, estendendo l’obbligo di comunicazione del diritto di ripensamento per ogni operazione di acquisto di strumenti finanziari.

venerdì 30 agosto 2013

Titoli Parmalat: per evitare la prescrizione, dovete inviare la lettera di diffida alla banca entro dicembre 2013

I risparmiatori travolti dalla vicenda Parmalat e che intendono contestare alla banca la violazione della legge hanno ancora pochi mesi per poter sollevare i rilievi all'istituto di credito, chiedendo il risarcimento del danno.

La vicenda Parmalat è molto nota, ed è stata affrontata anche in questo blog, ed ha colpito molti risparmiatori rimasti "scottati" dal fallimento del più grande Gruppo alimentare italiano, avvenuto nel dicembre 2003.


Negli ultimi anni, all'esito dei procedimenti penali avviati nei confronti di Parmalat, è emerso che il progressivo indebitamento della società, il quale ha costretto gli amministratori ha falsificare i bilanci, è stato favorito anche dalle banche.

I piccoli risparmiatori, negli anni, hanno deciso di agire anche nei confronti delle banche, chiedendo il risarcimento del danno sofferto a causa del default dichiarato da Parmalat.


Hanno contestato al proprio istituto di credito la violazione delle norme di settore, ottenendo la restituzione dei propri denari investiti in obbligazioni Parmalat attraverso la sentenza del tribunale.



Orbene, il prossimo dicembre 2003 scatta il termine di prescrizione decennale del diritto di risarcimento del danno spettante all'investitore per inadempimento da parte del proprio intermediario finanziario.

Come già evidenziato più volte, il consumatore che intenda contestare alla banca un grave inadempimento contrattuale deve agire entro e non oltre 10 anni dal momento in cui si manifesta il danno lamentato.


Nel caso delle obbligazioni Parmalat, la prescrizione scatta, al più tardi, nel mese di dicembre 2013, ossia dopo 10 anni dal default dichiarato dal Gruppo alimentare di Collecchio.

Coloro che non hanno ancora richiesto alla banca il risarcimento del danno, devono inviare una lettera di diffida con  lettera raccomandata.

domenica 20 marzo 2011

Vendita obbligazioni Parmalat - omessa informativa al cliente dei rischi di investimento e conseguenze per la banca

La sentenza che proponiamo in lettura questa settimana ha ad oggetto la vendita di obbligazioni Parmalat Finance BV, argomento dell'incontro radiofonico dello scorso mercoledì a Trentino inBlu radio (v. "Da Trentino inBlu al Blog: PARMALAT - Il più grande scandalo finanziario italiano. A che punto siamo?").
La pronuncia in oggetto affronta la vendita di obbligazioni estere (emesse nel mercato lussemburghese) e piazzate dalla banca ai clienti retail in assenza di adeguata informativa in merito alle caratteristiche ed ai rischi connessi a tale forma di investimento. 

Secondo il Tribunale di Bari tali rischi emergevano dal documento informativo che accompagnava l'emissione obbligazionaria, la offering circular, nonché
 dalla circostanza che per tali titoli non vi era un giudizio di merito (rating) rilasciato dalle principali società internazionali di rating

Accertata la violazione delle norme di condotta da parte dell'intermediario, il Tribunale analizza le possibili conseguenze e, dopo aver escluso la nullita' dell'operazione di investimento alla luce della ormai nota sentenza n. 27624/2007 delle Sezioni Unite della Cassazione, ritiene la Banca responsabile del pregiudizio sofferto dal cliente e la condanna al risarcimento del danno.

venerdì 18 marzo 2011

Da Trentino inBlu al Blog: PARMALAT - Il più grande scandalo finanziario italiano. A che punto siamo?

La vicenda Parmalat

Quando lo scorso gennaio l'ex presidente di Parmalat, il Cav. Tanzi, è stato riconosciuto responsabile per il disastro finanziario della multinazionale del latte, egli ha continuato a professare la propria innocenza ed incolpare le banche, considerate vere responsabili per l'ingente debito finanziario accumulato.

La vicenda Parmalat è caratterizzata da falsi bilanci, scarsi controlli e rapporti di favore da parte di tutte le più importanti banche mondiali che hanno sempre concesso ampio credito al Gruppo leader nel settore agroalimentare.

In particolare e come accertato successivamente dalle indagini penali, sin dalla fine degli anni '90, l’esposizione di Parmalat nei confronti del sistema bancario era già estremamente elevata.

La relazione del 21 giugno 2004 redatta dal Commissario Straordinario di Parmalat Finanziaria spa puntualizza che “dal 31.12.1998 al 31.12.2003, il Gruppo ha assorbito circa 14,2 miliardi di euro di risorse finanziarie di cui 13,2 miliardi di euro sotto forma di finanziamenti direttamente forniti o ottenuti per il tramite del sistema bancario , un miliardo di euro sotto forma di flusso di cassa lordo proveniente dalle operazioni industriali”.

L'ingente debito finanziario accumulato da Parmalat è stato parzialmente coperto attraverso le emissioni di titoli obbligazionari con i quali i debiti bancari sono stati spostati dalla multinazionale agli ignari acquirenti dei titoli Parmalat, con la partecipazione, più o meno convinta, delle banche.

In realtà, il ruolo assunto dalle banche nel crac Parmalat non è stato secondario in quanto, essendo a conoscenza della reale situazione economico/finanziaria del gruppo di Collecchio, non hanno esitato a consigliare l’acquisto dei bond, rassicurando gli investitori sul buon esito dell’operazione ed “intascando” le commissioni.

Il fallimento della Parmalat, avviato con il default del debito obbligazionario dichiarato nel dicembre 2003 e certificato successivamente con il fallimento, ha causato una perdita totale pari a 14 miliardi di euro con un danno nei confronti dei risparmiatori estremamente ingente.
 
A che punto siamo?

Le tappe della vicenda giudiziaria Parmalat?

Richiamiamo il recente articolo da www.ilmessaggero.it che ha efficacemente ricostruito i vari passaggi che hanno portato alla recente condanna del Cav. Tanzi.

2003
- 19 dicembre: Bank of America disconosce l'autenticità di un documento del 6 marzo che attesta l'esistenza di posizioni in titoli e liquidità per quasi 4 miliardi di euro al 31 dicembre 2002 di pertinenza di Bonlat, società delle Isola Cayman del gruppo. Standard & Poor's declassa i titoli Parmalat a Default
- 22 dicembre: primi indagati a Milano, fra cui Tanzi.
- 27 dicembre: Calisto Tanzi viene arrestato a Milano su ordine della Procura di Parma per associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e falso in bilancio. Il 28 ordine di custodia cautelare anche della Procura milanese: aggiotaggio e false comunicazioni a revisori. Tribunale delibera l'insolvenza.

2004
- 10 febbraio: sette banche indagate a Milano per aggiotaggio: Bank of America, Citigroup, Deutsche Bank, Morgan Stanley, UBS, Popolare Lodi e la Sgr di Intesa, Nextra.
- 17 febbraio: arrestati su ordine dei pm di Parma i figli di Tanzi Stefano e Francesca, il fratello Giovanni, quattro dirigenti della holding che opera nel turismo per distrazioni di 900 mln.
- 1 marzo: Cassazione decide: a Milano la competenza delle indagini per aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza, falso in comunicazioni. A Parma l'associazione a delinquere e bancarotta.
- 9 aprile: il Gip di Parma concede a Tanzi i domiciliari.
- 26 maggio: la Procura di Milano chiede il rinvio a giudizio per 29 persone fisiche e tre persone giuridiche, tra cui Calisto Tanzi, componenti dell'ex cda, ex sindaci, direttori, contabili, revisori dei conti, funzionari di Bank of America. Richiesta di giudizio anche per Bank of America e le società di revisione Grant Thornton e Deloitte & Touche. Le accuse: aggiotaggio, false comunicazioni dei revisori e ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Consob.
- 26 settembre: fine degli arresti domiciliari per Calisto Tanzi, che torna in libertà dopo 275 giorni.

2005
- 28 settembre: al via processo di Milano per Tanzi e altri 18.

2006
- 12 gennaio: difesa Tanzi sostiene in dibattimento a Milano che competente a giudicare sul caso Parmalat, anche per l'ipotesi di reato di aggiotaggio, è il tribunale di Parma dove si indaga per il reato più grave di bancarotta fraudolenta.
- 7 febbraio: i giudici della prima sezione del Tribunale di Milano respingono le eccezioni di incompetenza territoriale.

2007
- 21 maggio: i legali di Calisto Tanzi, chiedono al Tribunale di Milano un patteggiamento a due anni e otto mesi per il loro assistito. Anche altri 9 imputati chiedono il patteggiamento
- 31 maggio: il Tribunale, presieduto da Luisa Ponti, decreta «l'inammissibilità» del rito speciale disponendo, invece, la prosecuzione del giudizio a carico di Tanzi e altri imputati

2008
- 6 ottobre: Procura di Milano chiede 13 anni di reclusione per Calisto Tanzi per il crac dell'azienda emiliana.
- 9 dicembre: Si conclude con la riconferma delle richieste di condanna, la replica del procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco al processo sul crac della società parmigiana.
- 17 dicembre: i giudici della prima sezione del Tribunale di Milano entrano in camera di consiglio per decidere la sentenza al processo Parmalat che riguarda Calisto Tanzi e altri otto imputati fra persone fisiche e giuridiche.
- 8 dicembre: Calisto Tanzi è riconosciuto colpevole di aggiotaggio, ostacolo all'attività degli organi di vigilanza, concorso in falso con i revisori e condannato a dieci anni di reclusione.

2010
- 26 maggio: la Corte di Appello di Milano conferma la sentenza di primo grado. Tanzi dovrà inoltre risarcire gli oltre 32 mila piccoli risparmiatori con 100 milioni di euro.
- 4 agosto: Napolitano revoca a Tanzi l'onorificenza come Cavaliere di Gran Croce della Repubblica, la più alta che lo Stato italiano riconosca ai suoi cittadini più meritevoli.
- 16 settembre: al processo a Parma requisitoria del pm, che ha annunciato che chiederà la condanna di tutti gli imputati.

Fonte: Il Messaggero

Infine, come detto, di recente si è concluso il processo penale di primo grado avviato al Tribunale di Parma. Il giudice ha riconosciuto la responsabilità penale di Tanzi e dei suoi collaboratori per i danni subiti anche dai risparmiatori.

Contemporaneamente è ancora in corso il processo penale avviato a Milano nei confronti di alcune grandi banche. In entrambi i procedimenti, i risparmiatori si sono costituiti parte civile ed hanno recuperato parte degli importi investiti in titoli Parmalat.
 
Di seguito potete ascoltare un estratto della trasmissione.

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